CAPITOLO 9
Aveva detto una mezza verità al suo vice, quello che si concesse non fu un vero e proprio pranzo. Guidò verso casa, si fermò alla Spigola d'Oro e prese solo un antipasto. Voleva dedicare il tempo ad una lunga passeggiata sulla spiaggia, aveva bisogno di pensare.
In quella faccenda c'era qualcosa che non quadrava. Perchè la mafia cinese si prendeva la briga di spedire in Italia un killer che non si limitava ad uccidere, ma arrivava a sfigurare la propria vittima? Chi c'era a capo di tutta l'organizzazione? Teste pensanti in Cina, base operativa in Pakistan...c'era un particolare che gli sfuggiva, che non riusciva a mettere a fuoco.
Ad un tratto si fermò, rimase bloccato nella sua posizione, una statua: possibile che si trattasse solo di una coincidenza? Sì, era sicuramente una coincidenza.
Ed era già abbastanza assurda.
Rientrò in ufficio e chiamò l'agente Zuccoli:
“Per cortesia, trovami tutto ciò che riguarda la storia della famiglia Di Silvestro, in particolare gli aspetti legati alla loro attività, i clienti, il personale, i rapporti con le banche e così via. Prenditi il tempo che ti serve, ma fammi avere tutto. Tutto, anche il più piccolo particolare. Sei esentato da tutti gli altri incarichi, questo ha priorità assoluta.”
“Non dubiti commissario, farò del mio meglio.”
Nel frattempo prese il telefono e chiamò il questore Magnani.
“Il mio commissario Boschi! Come stai? Come procede l'indagine?”
“Tutto bene, signor questore. Ho bisogno di un favore.”
Gli spiegò di cosa si trattava. Il questore lo avrebbe accontentato a qualsiasi costo.
Non era passata che un'ora, quando sentì bussare alla porta.
“Avanti.”
L'agente Zuccoli, con una voluminosa cartella in mano, si diresse verso la sua scrivania.
“Ecco qui, commissario. Non dovrebbe mancare nulla.”
Boschi bussò alla porta che divideva il suo ufficio da quello del vice:
“Luca, hai da fare?”
“Stavo leggendo il rapporto del dottor Sartorelli sul filippino precipitato dal palazzo. Ma i dati significativi ce li già anticipati.”
“Allora sospendi le letture medico-scientifiche e vieni a farmi compagnia.”
Palumbo capì che il commissario voleva condividere con lui nuovi elementi.
“Cosa contiene questa cartella?”
“La storia della famiglia Di Silvestro, dalle loro origini ad oggi, anzi fino a ieri, purtroppo. Ci sono tutti gli aspetti legati all'attività, ai fondatori, ai dipendenti ed ai clienti. Zuccoli ha fatto un ottimo lavoro.”
“Sì, è bravo. Nella ricerca dei dati e nel tracciare i profili di persone scomparse o sospettate non ha concorrenti. La Scientifica ce lo invidia.”
“Allora valorizziamo la sua bravura.”
Le origini dell'attività dei Di Silvestro risalivano alla metà del Novecento. Nonno Alfredo, il padre dei due fratelli titolari dell'attività, aveva partecipato alla Seconda Guerra Mondiale prestando servizio come artificiere. Conosceva bene gli esplosivi, durante un'operazione di sminamento aveva rischiato di perdere un braccio, ma se l'era cavata con l'amputazione di due dita della mano sinistra. Rientrato in Italia alla fine della guerra, era tornato sul colle di Santa Marta, nella vecchia casa di famiglia, dedicandosi alle attività di campagna ed alla crescita dei suoi due figli Umberto e Filippo, senza mai dimenticare le sue attitudini a maneggiare gli esplosivi. Nel 1961 fu assunto presso la cava di Bocca di Valle, ma la poca propensione a fare il dipendente, unita alla difficoltà a giungere quotidianamente sul posto di lavoro, convinsero Alfredo Di Silvestro a presentare le dimissioni nel 1970. Nello stesso anno, in un vecchio magazzino accanto alla casa, Di Silvestro aprì un piccolo laboratorio per la produzione di fuochi pirotecnici; la sua bravura, unita alla profonda competenza in materia, ne fecero presto uno dei principali fornitori per la preparazione di spettacoli in occasione di feste patronali, sagre e ricorrenze di vario tipo. Gli affari andavano piuttosto bene, i figli iniziarono a prendere parte all'attività di famiglia, così nel 1975 la vecchia casa venne ristrutturata ed ampliata. Il primo piano restò al padrone di casa, il secondo piano venne suddiviso in due appartamenti destinati ad Umberto e Filippo. Nel 1978 Alfredo Di Silvestro lasciò l'attività ai due figli, che la ampliarono e la rimodernarono notevolmente: un nuovo capannone, nuove casematte e ricerca di personale, operai ed impiegati. I due fratelli ampliarono il loro mercato, conquistandosi rapidamente la stima di molti amministratori locali. Attenti in primo luogo alla sicurezza sul lavoro, investirono gli utili in dispositivi di protezione e corsi di aggiornamento, fino a diventare una delle prime aziende della regione nel settore, pur senza perdere la loro caratteristica di attività artigianale. Nel 1990 la Di Silvestro venne investita del delicato ruolo di deposito giudiziario, per la custodia di materiale esplodente proibito di qualsiasi provenienza. Fino al momento dell'incidente l'azienda contava quindici dipendenti tra operai ed impiegati, inclusi i due figli dei fratelli Di Silvestro: Massimo, vent'anni, figlio di Umberto e Fabio, ventidue anni, figlio di Filippo. In casa viveva ancora nonna Assunta, novantaquattro anni, moglie del fondatore Alfredo Di Silvestro, assistita dalla badante Irina.
Palumbo si rivolse al commissario:
“Che ne pensi?”
“Che i Di Silvestro fossero davvero così seri come vengono descritti. Però sarebbe il caso di sapere qualcosa di più sul personale e sui rapporti con le banche. Avevano stipulato un'assicurazione?”
“A quanto risulta da questa documentazione, sì. Tutti i dipendenti erano assicurati per infortunio, invalidità permanente o decesso, inoltre sia il capannone che i macchinari erano assicurati contro danni accidentali.”
“Bene. Prenditi Vicari e sentite le banche.”
Palumbo tornò nel suo ufficio, in quel momento suonò il telefono sulla scrivania del commissario.
“Pronto.”
“Commissario, sono Menichelli. Ho un certo signor Colasanti in linea.”
Il caposquadra dei vigili del fuoco in servizio al colle di Santa Marta. Sicuramente lo chiamava col cellulare dal luogo del disastro. Dovevano esserci delle novità.
“Grazie, passamelo subito.”
“Commissario Boschi? Sono Paride Colasanti, il caposquadra dei vigili del fuoco.”
“Buon pomeriggio Colasanti, mi dica.”
“Ecco, l'ho chiamata perchè penso che le possa interessare....siamo andati molto avanti con lo scavo ed abbiamo tirato fuori delle persone.”
“Ci sono delle vittime?”
“Purtroppo sì.”
“Arrivo subito.”
“Martella!”
“Agli ordini, commissario.”
“Chiama Grossi, digli di preparare la macchina. Tieniti pronto anche tu, andiamo via subito.”
“Dove andiamo, se posso chiederle?”
“Al colle di Santa Marta.”
Giunsero sul posto in meno di un quarto d'ora, Colasanti li stava aspettando.
Tre ambulanze erano pronte a partire verso l'ospedale di Pescara. A bordo, tre giovani: due ragazze ed un ragazzo, tutti sui venticinque anni, probabilmente impiegati dell'azienda, si lamentavano debolmente. Gli abiti sporchi di terra, senza più le scarpe, il viso pulito alla meglio recava i segni della terribile esperienza vissuta e della permanenza tra le macerie per due giorni. Il commissario li guardò con tenerezza, erano di poco più giovani di lui. Fece segno ai mezzi di partire, presero la provinciale a sirene spiegate.
Sul piazzale, a pochi metri da lui, c'era un lenzuolo bianco, macchiato qua e là di tracce rossastre. Colasanti si avvicinò a Boschi.
“Venga, commissario.”
Il caposquadra sollevò una parte del lenzuolo: Boschi aveva riconosciuto quel volto insanguinato e sporco di polvere.
Colasanti sospirò:
“Forse, se in quella maledetta mattina mi avesse ascoltato, sarebbe ancora qui. Non si può morire a ventidue anni, non si può morire così.”
“E' andato a cercare suo padre, suo zio, suo cugino. Non avrebbe potuto impedirglielo.”
“Ha ragione, commissario. Ma è nostro dovere provarci, sempre.”
“Lo hanno riconosciuto?”
“Sì, commissario. E' Fabio, il figlio di Filippo. Quando la madre lo ha visto ha avuto un malore, ora è ricoverata a Pescara in osservazione, è malata di cuore. Il riconoscimento è stato fatto dalla zia.”
Il commissario si rivolse all'agente che lo accompagnava:
“Martella, chiama il medico legale ed il pm. Non possiamo far nulla senza la loro presenza.”
Quindi chiese a Colasanti:
“Avete trovato dei documenti?”
“Abbiamo tirato fuori dei raccoglitori di fatture ed un registro presenze di tutti i dipendenti. Sono stati risparmiati dall'incendio che si è sviluppato perchè erano sotto ad un mucchietto di sabbia. Si sono accartocciati ed ingialliti, ma sono leggibili.”
“Bene, li tenga a disposizione. Può darsi che debba portarli via con me.”
Il medico legale ed il pm giunsero di lì a poco. Il dottore esaminò rapidamente il cadavere del ragazzo, riscontrando una profonda frattura nella parte posteriore del cranio, che ne aveva causato la morte. Il giudice Berardi, sentiti il dottore ed il commissario, dichiarò:
“Per quanto mi riguarda, il corpo può essere messo a disposizione dei familiari se il medico legale non deve compiere accertamenti. Commissario, se ha bisogno dei documenti dei quali mi ha parlato li prenda pure.”
Boschi prese i raccoglitori ed il registro, firmò una ricevuta da consegnare alla famiglia Di Silvestro e tornò in commissariato. In quel luogo di disperazione e morte non aveva altro da fare, almeno per il momento.
Rientrò in ufficio e si mise a studiare i documenti che aveva portato con sé. Dall'esame delle fatture ed altri documenti contabili l'azienda dei Di Silvestro risultò essere assolutamente in regola con gli obblighi contabili e fiscali, nemmeno una virgola fuori posto. Tutto veniva regolarmente annotato, in entrata ed in uscita: acquisti, compensi, consulenze, corsi di aggiornamento, ogni voce veniva descritta in maniera dettagliata. Erano annotati tutti i movimenti bancari, riscontrabili con le matrici dei libretti di assegni scrupolosamente allegate.
In quel momento sentì le voci di Palumbo e Vicari, li chiamò.
“Cosa risulta dalle banche della zona?”
“Tutto perfettamente regolare. L'azienda Di Silvestro ha due conti correnti, uno dei quali è relativo ai soli soldi di famiglia. Tutti e due sono registrati presso la Cassa Cooperativa Regionale, presso la filiale di Città Sant'Angelo. Il direttore, persona gentile e disponibile, ci ha garantito che l'azienda non ha mai avuto problemi di disponibilità finanziaria e che comunque, data la reputazione dei due titolari, la banca ha sempre garantito la massima disponibilità ad intervenire.”
“Perfetto ragazzi. Grazie, avete fatto un ottimo lavoro.”
Il vicecommissario e l'ispettore uscirono, Boschi tornò a concentrarsi sui documenti.
Dunque non c'erano problemi di soldi.
Rilesse con attenzione tutta la documentazione finanziaria e commerciale: ad un tratto, senza alcuna ragione apparente, sgranò gli occhi e rimase di pietra.
Ma certo! Dal 1990 l'azienda era stata abilitata a svolgere la funzione di deposito giudiziario, ecco perchè aveva trovato il brandello di plastica nera con i due gruppi di lettere, it-ar; erano parti delle due parole che si erano fissate nella sua mente, deposito giudiziario!
Aveva potuto constatare come la casamatta destinata allo stoccaggio del materiale sequestrato fosse la n. 26: stava pensando ad una eventualità, bastava poco a togliersi il dubbio.
Prese il cellulare, formò il numero di Colasanti.
“Buonasera, sono il commissario Boschi.”
“Buonasera commissario, mi dica.”
Quell'uomo sembrava instancabile, era in servizio da un enorme numero di ore senza mostrare segni di cedimento alcuno.
“Nel corso del nostro primo colloquio al colle, lei mi disse il probabile punto di origine di tutta l'esplosione, ma ora non lo ricordo. Potrebbe cortesemente ripetermelo?”
“Certo commissario. E' partito tutto dalla casamatta n. 26.”
Centro. Ora il campo di indagine si indirizzava su un binario ben preciso. Doveva assolutamente parlare con gli impiegati feriti, lo avrebbe fatto nei prossimi giorni.
Prese i documenti ed uscì dall'ufficio. Ormai un'idea ben definita si era fatta strada nella sua mente, ma avrebbe dovuto approfondirla nel silenzio della sua casa.